Nel contesto italiano rischia di creare più problemi di quanti ne risolva. Sono altre le iniziative da prendere per risollevare i salari

Il salario minimo, nel diritto del lavoro, è la più bassa remunerazione o paga oraria, giornaliera o mensile che i datori di lavoro devono corrispondere ai propri lavoratori dipendenti.
Può essere deciso attraverso la legge (legale) o attraverso la contrattazione collettiva (contrattuale).
In Italia (come in Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Cipro) non esiste un salario minimo stabilito per legge, ma la sua entità viene delegata alla contrattazione tra le parti sociali.
La situazione in Europa
Da qualche mese è ripreso il dibattito europeo attorno alla direttiva sul salario minimo, promesso dalla presidente Von Der Leyen.
La direttiva prevede una divisione tra paesi con un salario minimo legale (SML) e quelli con salario regolato dalla sola contrattazione tra le parti sociali (SMC). La contrattazione collettiva viene riconosciuta come il metodo migliore per definire i salari minimi e deve essere promossa da tutti gli stati membri.
Nei paesi con SML, essi dovranno essere adeguati per garantire una vita dignitosa. La direttiva non entra nel merito dei criteri, ma indica quelli “usati solitamente a livello internazionale “( quindi l’indice di kaitz, ovvero 50% del salario medio o 60% del salario mediano).
Dovranno essere stabiliti e aggiornati, coinvolgendo le parti sociali, secondo criteri chiari e trasparenti.
Per i paesi con SMC non vi sarà alcun obbligo di inserire nei propri ordinamenti un SML, ma dovrà essere promossa la contrattazione tra parti sociali. La soglia critica è individuata nel 70% della copertura dei lavoratori.
Sotto questa soglia dovranno essere presi provvedimenti e create strutture per la promozione e l’implementazione della contrattazione tra parti sociali.
La situazione in Italia
E’ del Movimento 5 Stelle la proposta di un “salario minimo garantito”. l’hanno presentata al senato nel 2018,a firma della senatrice Nunzia Catalfo. Si propone di istituire un salario minimo legale (9€/h lordi) per tutti i lavoratori. Ma altre proposte sono arrivate negli anni da vari schieramenti. E qualche settimana fa,congiuntamente, il SML è stato riproposto da Letta e Conte.
Che cosa dicono le parti sociali
Le associazioni delle imprese criticano l’introduzione di un SML in quanto rischierebbe di ridurre la competitività delle aziende e provocherebbe un aumento non sostenibile del costo del lavoro e una conseguente ondata di disoccupazione.
Molto critici anche i sindacati perché un minimo legale rischierebbe di innescare una fuga delle aziende dalla contrattazione collettiva verso una contrattazione a livello individuale che comporterebbe, per il lavoratore, una recessione nei diritti già acquisiti (permessi,ferie,welfare aziendale…).
I sindacati chiedono anzi che ai CCNL venga conferito un valore legale e un’applicazione “erga omnes” per contrastare i sempre più diffusi “contratti pirata” e il conseguente “dumping contrattuale”.
Che cosa pensiamo noi
Noi crediamo che ‚in un sistema sociale ed economico come il nostro, un salario minimo deciso a livello legale e centralizzato non sia la giusta strada da percorrere perché:
- Troppa è la differenza in termini di salari medi e di potere di acquisto tra nord e sud , tra aree interne e città, tra centro e periferia. Un unico salario minimo per tutti sarebbe iniquo e andrebbe a creare un paradosso per cui in alcune aree esso è insostenibile e in altre insufficiente.
- Le imprese più grandi potrebbero permettersi di subire il contraccolpo dell’aumento del costo del lavoro, ma molte PMI (che formano il grosso del nostro tessuto sociale e produttivo) non riuscirebbero a sopportarlo, finendo per fallire o per essere inglobate dalle grandi aziende.
- C’è il rischio di un aumento del lavoro nero o comunque irregolare per contenere l’aumento di spesa, tutto a danno dei lavoratori più esposti, fragili e meno tutelati. Proprio quelli che il SML vorrebbe aiutare.
- Si rischia di danneggiare la contrattazione collettiva che anzi (come ricorda la stessa direttiva europea) è la via maestra per garantire che sia gli interessi dei lavoratori che delle imprese siano favoriti.
Anzi, deve essere promossa la contrattazione a livello locale, aziendale. Ciò favorirà una contrattazione “su misura” del territorio, delle aziende e dei lavoratori.
- Può avvenire uno schiacciamento verso il basso delle remunerazioni e un avvicinamento iniquo dei lavoratori con livello d’inquadramento più alto.
-Molti degli effetti sperati dai paladini del salario minimo legale si possono ottenere con un drastico taglio delle tasse sul lavoro, oltre che con massicci investimenti in formazione (centinaia di migliaia di posti di lavoro qualificati e ben retribuiti rimangono scoperti ogni anno per mancanza di domanda).
Conclusioni
Il problema in Italia non è tanto la soglia minima del salario (anzi l’indice di Kaitz in Italia è all’80%, il più alto in Europa), quanto il mancato rispetto delle regole da parte delle aziende e il salario medio annuo troppo basso ( se in Belgio è 47mila euro, in Germania 42mila euro, in Francia 39mila euro,in Italia è 30mila euro) oltre al mancato rispetto dei diritti sanciti dai contratti.
Questo deriva da moltissimi fattori. Alcuni sono ormai famosi e sulla bocca di tutti (irregolarità, sotto dichiarazione delle ore lavorate, lavoro in nero).
Ma ce ne sono altri meno noti: sottoinquadramento dei lavoratori, evasione contrattuale, bassa sindacalizzazione nei settori più esposti e carenza di controlli.
Inoltre c’è il concreto rischio che le imprese scelgano di non rinnovare i CCNL o di non considerarli, preferendo una contrattazione a livello individuale.
In conclusione il salario minimo legale non è un tabù. Può essere uno strumento utile per salvaguardare chi ancora non è coperto da CCNL. Ma anche se venisse approvato, non risolverebbe nessuno dei sopracitati problemi.
La contrattazione deve restare tra le parti sociali, in cui il ruolo del governo deve essere solo di garante dell’accordo e del suo rispetto e non di parte in gioco.
Al governo noi proponiamo che:
1) Continui sulla via della promozione della contrattazione collettiva come mezzo per stabilire i salari minimi in ogni settore, evitando di inserire in ordinamento un SML;
2) Vengano da subito attivati investimenti per migliorare la produttività (più valore prodotto con meno ore lavorate), virando verso una transizione quanto più ecologica possibile delle produzioni di beni o servizi;
3) Vengano aumentate le ispezioni e assunti ispettori, perché in assenza di controlli non importa se legale o contrattuale, il salario minimo molto spesso non è rispettato;
4) Si dia valore legale ai CCNL sottoscritti dalle parti sociali di settore comparativamente più rappresentative;
5) Venga istituito un registro delle associazioni sindacali che dovranno avere personalità giuridica, dando quindi totale applicazione all’articolo 39 della costituzione;
6) Si promuova la contrattazione collettiva nei settori ancora scoperti;
7) Venga promossa la contrattazione di secondo livello ( territoriale o aziendale);
8) Venga ridotto il carico fiscale sul lavoro e spostato sulle rendite finanziarie, sui grandi colossi di internet e sulle eredità, per aumentare il reddito disponibile dei lavoratori e per far sì che le aziende investano e non siano costrette a ricorrere al lavoro nero;
9) ridotta la crisi pandemica, venga aperto un tavolo di discussione tra e con le parti sociali affinché si studino dei piani per il futuro del mondo del lavoro.
Chiediamo che si ragioni dell’impatto che la digitalizzazione e la robotica avranno sul futuro e su come riuscire a governare il cambiamento che porterà una inevitabile disoccupazione dovuta dalla distruzione dei lavori manuali e ripetitivi (85mln stima il WEF) ma anche una potenziale rioccupazione (+97mln posti di lavoro sempre secondo il WEF) che dovrà però essere promossa e favorita mediante una riqualificazione dei lavoratori.
Un piano di riqualificazione non potrà che prevedere una collaborazione tra pubblico e privato.
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