I risultati della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021? Secondo Thunberg pessimi, ma non avevamo alcun dubbio.

Chi, in questi giorni, lamenta su Twitter che COP26 è stato l’ennesimo inconcludente meeting tra i potenti del mondo dovrebbe avercela solo con se stesso: è normale essere delusi quando le aspettative sono sbagliate. O quando si è una post adolescente in malafede.
Le conferenze sul clima si svolgono ogni anno e i diplomatici che ne hanno viste a decine sanno che non sono fatte per risolvere i cambiamenti climatici, ma per costruire processi che influenzeranno le decisioni sul mondo reale.
COP26 ha ottenuto lo storico risultato di aver menzionato per la prima volta nella storia le fonti fossili di energia nel suo documento conclusivo.
C’è stata una lunga discussione sull’uso dell’espressione da usare a riguardo: «phase out», ovvero uscita totale, e «phase down», più graduale. L’ha spuntata quest’ultima: una vittoria per l’India e tutti quegli stati che stanno affrontando la fase di crescita nella quale le fonti fossili sono fondamentali, benché è anche vero che, rispetto al Novecento, in questi anni esistono tecnologie adatte ad evitare che vengano affrontati i passaggi che solo qualche anno fa parevano obbligati. A noi occidentali viene difficile pensarlo, ma a quelle latitudini poter utilizzare la benzina nei generatori di energia fa la differenza tra avere la corrente nei villaggi oppure no. In Europa diamo la luce nelle case per scontata, ma nella maggior parte del mondo non è così.
Gli Stati del Nord del mondo hanno superato quella fase della crescita economica e ora si possono permettere una repentina conversione alle fonti sostenibili di energia. Il costo di questo progresso tecnologico è la situazione di grave urgenza climatica nella quale ci troviamo.
Uno dei punti fondamentali di COP26 sono i soldi che i paesi avanzati daranno ai paesi in via di sviluppo per aiutarli nella transizione delle fonti energetiche: se i primi, nel Novecento, hanno potuto inquinare senza rendere conto a nessuno, le nazioni che in questo momento si trovano nel momento di massimo inquinamento hanno chiesto e ottenuto di essere sostenute economicamente da chi ce l’ha già fatta. Il fondo è di 500 miliardi di dollari che saranno versati nei prossimi cinque anni.
Narendra Modi, Primo ministro dell’India, studia il futuro ruolo da superpotenza: con Russia e Cina assenti al G20 e poco incisivi alla COP26, Nuova Delhi sta sempre di più diventando protagonista a livello mondiale. Aver vinto la diatriba linguistica sulle fonti fossili è un primo importante passo verso quel futuro. A momenti, durante la conferenza sul clima, la leadership di Europa e Stati Uniti ha latitato. L’asse atlantico scricchiola e la profezia che vorrebbe queste due potenze alla guida del mondo nei prossimi anni non si sta avverando.

Il futuro è fatto di intese laterali ai grandi summit e di strane coppie. BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance) ne è un esempio: Costa Rica e Danimarca hanno creato una piattaforma per superare la dipendenza da petrolio e gas alla quale hanno aderito a pieno Francia, Groenlandia, Irlanda, Quebec, Svezia e Galles. C’è anche l’Italia, ad un livello di membership inferiore. Siamo ‘friend’: un impegno non vincolante, una dichiarazione d’intenti.
La direzione intrapresa dal Ministro Cingolani è chiara: “L’Italia è avanti e abbiamo le idee chiare: grande piano per le rinnovabili con 70 miliardi di watt per i prossimi 9 anni per arrivare al 2030 con il 70% di energia elettrica pulita”, ha dichiarato il Ministero.
Altre intese laterali degne di nota sono quella sulla deforestazione, firmata anche dal Brasile di Bolsonaro, che di recente è stato accusato di crimini contro l’umanità a causa della sua responsabilità diretta su tale fenomeno; l’intesa globale contro il metano; lo stop internazionale ai sussidi per oleodotti e trivelle.
L’accordo sul limite di 1,5° di aumento delle temperature è riuscito. I metodi sono stati decisi, ora è il momento dell’azione. Il 2022 inizia con premesse concrete e una direzione chiara e univoca da seguire. La palla passa ai leader che, rientrati da Glasgow, dovranno intraprendere i cambiamenti necessari per salvare il pianeta. La sfida è servirsi di una politica del breve termine per intraprendere cambiamenti che influenzeranno i prossimi decenni.
Ci riusciremo, negli anni della suscettibilità, della polarizzazione e della discontinuità? Di certo il tweet di Thunberg non aiuta. Il momento di smuovere le coscienze è superato. Dovremmo costruire, dialogare e informare. La svedese non contribuisce.
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