Quattro buone ragioni per un partito ecologista liberale

26 Febbraio 2021

Linkiesta lancia l’ipotesi di una nuova forza politica unitaria. Pinelli porta nel dibattito la voce di Terra Libera

Proprio ieri è ricorso l’anniversario di quel 25 febbraio 2013 in cui l’Italia iniziò la sua discesa nel baratro del cosiddetto populismo.

Sono noti gli errori che portarono a quel disastro. Un PD che non aveva ancora deciso cosa stesse a fare al mondo e guardava i grillini, capaci di parlare al suo popolo, con un misto di invidia e di emulazione. Un centro che aveva mitizzato il governo Monti e ricandidato il suo capo, peraltro nel nome della maggiore competenza e non, come è auspicabile in politica, di una diversa e migliore concezione del potere.

Una destra che, ripetendo per l’ennesima volta la sua solita ninnananna “meno tasse e botte ai neri”, resisteva sì nelle urne, ma si precludeva ogni possibilità di guidare una futura evoluzione del paese.

In un quadro così fragile, i mondi paralleli di fake, troll, bot, gruppi facebook e catene whatsapp generati da Casaleggio ebbero buon gioco nell’inglobare prima gli elettori e poi, nell’arco di qualche anno, gli stessi partiti.

Ora risiamo al punto di partenza. La voglia di far nascere una forza politica sana e radicalmente alternativa è grande, ma la domanda è: che tipo di forza politica?

Qual è il partito del quale l’Italia ha bisogno per affrontare questi tempi così complicati?

Per me la risposta è chiara: è un partito ecologista liberale.

Cercherò in breve di illustrarne le ragioni.

La prima ragione è che la crisi ambientale è già al centro dell’agenda politica.
Abbiamo passato il 2017, ’18 e ’19 a parlare solo di immigrazione e poi il 2020 a parlare solo di pandemia: entrambi fenomeni agevolati, se non proprio causati, da surriscaldamento globale e distruzione degli ecosistemi. Più passerà il tempo, più la questione ambientale sarà totalizzante nel dibattito pubblico. E finora l’abbiamo regalata a gente che brucia le antenne 5G e non crede alla xylella.

La seconda ragione è che le forze migliori del paese sono già impegnate nella sfida della transizione.
I laureati in ingegneria, chimica, economia, biologia, agraria, statistica finiscono sempre più spesso per lavorare in progetti legati alla sostenibilità. Non parliamo dei giovani imprenditori.
Anche se nella narrazione dei media il tipo dell’ambientalista è ancora solo quello con la camicia da Gandhi che ti guarda storto se bevi il latte di mucca, nella realtà c’è una generazione che sta facendo grandi cose per la transizione verde, pur continuando a indossare la giacca di seta o il casco da operaio. E quella generazione merita uno spazio politico.

La terza ragione è che senza le classiche riforme liberali la battaglia per l’ambiente è persa in partenza.
I numeri parlano chiaro: l’IPCC ci ha dato tempo fino al 2030 per ridurre l’inquinamento, ma in questo paese, per fare solo tre esempi, ci vogliono 10 anni per arrivare a posare la prima pietra di un parco eolico o di un impianto di riciclo, 8 anni per arrivare a sentenza in un processo civile, 11 anni prima che scada l’ennesimo rinnovo delle concessioni balneari.
Giustizia, trasparenza, concorrenza sono le premesse per attirare in tempo gli investimenti necessari alla transizione verde. Ricerca, istruzione, emancipazione femminile sono la via per formare in tempo i lavoratori capaci di attuarla.

Ma c’è un’ultima ragione, che è la più importante. In tutta Europa e non solo, lo scontro politico si è ormai imbarbarito regredendo a un livello elementare: Stato di Diritto contro legge del più forte.

Ciò che i nazionalisti di ogni sponda promettono non è altro che la pratica a viso aperto della legge del più forte: il linciaggio invece del processo, la propaganda invece dell’informazione, gli interessi del funzionario pubblico invece di quelli del fruitore del servizio, l’irrilevanza del Parlamento, l’abbandono dell’Unione Europea.

Ma fra gli atti di prepotenza ai danni di persone più deboli rientra anche lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. Un impiego saggio e lungimirante delle risorse, al contrario, è la più alta forma di rispetto dei diritti inalienabili di ogni essere umano, compresi quelli non ancora nati.

Per questo chi sposa la causa dello Stato di Diritto non può che sposare anche quella dell’ambiente.

È chiaro come il giorno che una forza ecologista liberale avrebbe molta più capacità di incidere rispetto all’ennesimo centrino da tavola liberaldemocratico “puro”. Sarebbe la prima a scaturire dalle dinamiche specifiche del 21° secolo, invece di riadattare al tempo in cui viviamo una narrazione pensata per un tempo passato.

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