L’“Erdoganomics” non vale una lira.

La lira turca continua a raggiungere nuovi record negativi, giorno dopo giorno. “Ho lanciato una lira in aria e quando è caduta a terra è diventata di 90 kuru (cioè di 90 centesimi)”, scrivono nei social i ragazzi e le ragazze in Turchia.
Erdogan difende le sue scelte, ma i recenti tagli ai tassi d’interesse – per combattere una indefinita guerra d’indipendenza economica, a suo dire – stanno avvicinando giorno dopo giorno il paese al rischio default. Che stia seguendo la vicenda chi, in Italia, vorrebbe replicare la furbata? Ce ne sono ancora, di sovranisti, dopo il repentino cambio d’orizzonte che ha visto tutti dichiararsi europeisti dopo la discesa in politica di Draghi? Forse ci sono, ma repressi. Bene così. Rimangano tali.
La Turchia, dicevamo: la lira turca scende del 20% in un giorno, 9% se confrontata col valore del dollaro. In questi giorni stiamo assistendo al crollo di valore più grave dall’agosto 2018. Non vorremmo essere in Sahap Kavcıoğlu, nominato lo scorso marzo governatore della Banca Centrale proprio da Erdogan: si è dichiarato soddisfatto dal taglio dei tassi di interesse annunciato dal governatore della Turchia, che è il terzo dall’inizio di quest’anno e che, agli occhi di tutti gli economisti europei, appare una decisione a dir poco scellerata, considerata l’inflazione che ha ormai stabilmente raggiunto il 20%. Soddisfazione molto poco sincera, probabilmente. Ma sono convinto che avere a che fare con l’instabile Erdogan non permetta di dire spesso la propria.

La lenta sofferenza della valuta turca è iniziata nel 2018 e anche allora è stata causata dalla spregiudicata politica economica di Erdogan: le tensioni geopolitiche con l’Occidente, la riduzione delle riserve valutarie, l’aumento del debito e soprattutto il tassativo rifiuto all’aumento dei tassi d’interesse hanno procurato una inflazione che si è alzata anno dopo anno. L’empia teoria economica turca sta provocando sconsiderati aumenti dei prezzi e i circa 85 milioni di abitanti del paese di recente hanno visto i propri stipendi svalutarsi consistentemente.
“Vinceremo questa guerra di indipendenza economica”, ha detto Erdogan da Ankara, contrapponendosi ai numerosi esperti che mettono in discussione le sue dubbie decisioni. Tra questi, l’ex vicegovernatore della Banca centrale Semih Tumen, che su Twitter ha silurato il leader turco chiedendo di fermare “l’irrazionale esperimento”. Erdogan pretende di saperne di più di tanti illustri economisti: a quanto pare non solo per i Cinque Stelle ‘uno vale uno’.

La fallace teoria economica di Erdogan, che ha studiato Economia e Commercio all’Università di Marmara, consiste nell’abbandono di aumento dei tassi di interesse investendo risorse e, a questo punto, speranze su esportazioni e creazione di posti di lavoro. Peccato che l’agenzia di rating Fitch abbia stimato che questo agosto quasi il 60% del debito del governo turco era in valuta estera, rendendo impossibile ripagarlo con una lira in continua perdita di valore. E pazienza se i poco attenti dicono che negli ultimi cinque anni il salario minimo legale è stato raddoppiato a 3.577,5 lire al mese (poco meno di 285 euro), perché nello stesso arco di tempo l’inflazione è cresciuta altrettanto.
Più gli economisti mondiali dicono a Erdogan di fermarsi, più questi persevera nel suo illogico piano. Quanto dovranno impoverirsi i Turchi per fermare questo alienato dell’economia?
Chissà se Borghi, deputato della Lega dal 2018, ha ancora nel portafoglio i fondi turchi.
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