Fra le tante iniziative che potrebbero contrastare i grandi eventi illegali e i loro rischi sanitari, quella della ministra Lamorgese è la meno efficace

La ministra degli Interni Luciana Lamorgese vuole una legge anti-rave in linea con la legislazione di altri paesi UE, dove gli organizzatori di questi raduni rischiano molto di più, “sia per i comportamenti illegali connessi all’abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, sia per i riflessi sulla possibile diffusione dei contagi”, dice al Messaggero.
Faccio notare che la possibile diffusione dei contagi all’interno di un rave party è più verosimile rispetto ad altri contesti di feste legali proprio in quanto fenomeno non regolamentato, quindi senza un preciso iter di controllo e senza alcuna verifica di green pass e/o di tampone negativo.
Sono anche convinto del fatto che non è aumentando le pene per gli organizzatori di rave party che si limita la diffusione di sostanze alcoliche (che, ricordiamo, sono perfettamente legali) o di sostanze stupefacenti, anche perché, se non verranno più distribuite ai rave, il fenomeno si sposterà in contesti affini (la club culture italiana degli ultimi decenni del secolo scorso ne è un chiaro esempio).
La proibizione, come spesso diciamo in Terra Libera, non è la soluzione.
Al contrario, i rave party, e in generale i numerosi episodi di disagio dovuti a una movida irresponsabile, possono venire maggiormente controllati con una progressiva regolamentazione delle sostanze, con conseguenti maggiori controlli sulla qualità e sulla quantità di ciò che viene somministrato agli avventori.
Facendo un esempio banale ma non troppo: se un ragazzo entra in un cocktail bar sobrio e ne esce ubriaco fradicio, è colpa sua che si è ubriacato o è colpa di chi sta dietro al banco a fare da bere?
Idealmente la risposta corretta è la seconda, perché un bartender che si rispetti cerca sempre di evitare di portare all’ubriacatura un cliente, per il bene dell’avventore, del locale e degli altri clienti (a scrivere è un bartender che convive quotidianamente con questo problema, e che non può fare altro che appellarsi alla discrezionalità).
Purtroppo, però, manca uno standard nazionale uguale per tutti gli operatori del settore.
Non abbiamo bisogno di una stretta sui rave, ma di:
- Incentivare la club culture italiana, affinché il nostro paese torni ad essere un punto di riferimento a livello europeo, con ricadute non disprezzabili su turismo e commercio. Anche i grandi eventi simili agli attuali rave vanno inglobati nel contesto della club culture, per permettere di avere standard omogenei e di svolgere effettive attività ispettive;
- Regolamentare progressivamente gli stupefacenti, affinché ci siano standard qualitativi delle sostanze sempre più rigidi (quindi sostanze pure meno pericolose di quelle attualmente in circolazione);
- Rivoluzionare il mondo della mixology, con standard uguali per tutti i bartender a livello nazionale, e regole ferree per contrastare l’abuso di alcol in luoghi pubblici;
- Intavolare sui singoli territori un serio discorso di gestione notturna dei mezzi pubblici: se, giustamente, un cittadino non può guidare sotto effetto di alcol e di altre sostanze, deve essere messo nelle condizioni di uscire a bere con gli amici senza rischiare il ritiro della patente.
Soltanto a Prato, soltanto la notte di sabato 6 novembre, le denunce per guida in stato di ebbrezza sono state 3, su circa 250 auto fermate. Prima di punire, occorre prevenire.
Continua a seguirci per scoprire le nostre proposte per contrastare la movida irresponsabile e i grandi eventi illegali, senza seguire facili scorciatoie repressive che spesso peggiorano solo i problemi.
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