Essere ottimisti non è semplicissimo ma c’è speranza. Una giornata a Palazzo Vecchio ospiti del Foglio.

L’umanità è programmata per evitare l’incertezza. Nello stato di natura, definito da Thomas Hobbes come ‘bellum omnium contra omnes’, la strategia di sopravvivenza è la riduzione del rischio: se sentiamo un rumore dietro ad un cespuglio è sempre più conveniente scappare invece di controllare se in agguato ci sia una feroce bestia o meno. Nell’età moderna la dinamica del tutti contro tutti è sostituita dalle certezze che la società ci garantisce. L’incertezza è così accettata e le conseguenze sono mediate dalle istituzioni e dai servizi che ci vengono da esse garantiti.
Negli ultimi due anni, nonostante questo, abbiamo dovuto affrontare un incertezza superiore al consueto. L’ultimo episodio è avvenuto l’altro ieri, quando l’Italia si è risvegliata con la notizia dell’arrivo di Omicron nel paese. Il direttore del Foglio Claudio Cerasa, in apertura, ha ammesso che, di questi tempi, “essere ottimisti non è semplicissimo”. La Festa de Il Foglio è servita proprio a ragionare per capire come una fase difficile come quella che viviamo può diventare un’occasione per determinare un nuovo futuro.
La notizia della giornata è stata che Di Maio si è pentito sui gilet gialli, reputando il Trattato del Quirinale “una grandissima opportunità” e dichiarando con nonchalance che se votasse in Francia lo farebbe per Macron. Tutto questo subito dopo aver affermato che ai Pentastellati non interessa il voto dei novax né tantomeno vogliono ammiccare nei loro confronti. Il kafkiano processo di trasformazione del Movimento 5 Stelle procede spedito. La stoccata gliel’ha data Calenda che, dialogando con Salvatore Merlo, ha affermato: “Di Maio in versione Cinque Stelle è dannoso e inutile. In versione UDEUR (vecchio partito di Mastella, n.d.r.) è solo inutile”. Col leader di Azione, nel bene o nel male, il cambio di retorica in sala è marcato: ha vinto senza dubbi l’applausometro del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
Calenda ha parlato anche di Telecom Italia, affermando che “l’Italia ha buoni imprenditori ma pessimi capitalisti” e dichiarandosi favorevole all’acquisizione di Kkr a favore di una gestione meno politicizzata di quella di Bollorè, azionista di maggioranza di Vivendi, che possiede circa il 24% di TIM. Egli ha proposto, inoltre, la creazione di una public company che gestisca la rete Telecom, che ha una notevole importanza strategica per il Paese. Ha parlato anche della riforma fiscale, definendola “paradossale e regressiva perché sacrifica ancora i giovani”. Calenda non crede nel progetto di un grande Ulivo, a differenza di Letta, che sullo stesso palco ripropone uno schema politico bipartito per evitare che l’Italia diventi un’Ungheria o una Polonia. Una politica contro, che, appunto, l’ex candidato sindaco di Roma non riesce a vedere come foriera di successi: la sua proposta, ormai reiterata in ogni dove, è quella di andare a recuperare la rappresentanza, non facendo leva sulla paura del ‘fascismo’ (spettro che nomina per evocare la demonizzazione del nemico e la chiamata alla armi sotto una grande tenda) ma convincendo l’elettorato della bontà di una proposta politica basata sulla competenza di un centro riformista.
La domanda riguardante il destino di questo fantomatico ‘centro riformista’ non è stata posta solo a Letta e a Calenda, però. Anche Elena Bonetti esponente di punta di Italia Viva e ministra prima del governo Conte II e ora del governo Draghi, ha parlato lungamente di questa prospettiva politica in possibile formazione. I disaccordi tra Renzi e Calenda paiono fare al momento la parte del leone in questo progetto nel contendersi — oseremo dire — un’inesistente guida di un’appena esistente forza politica, ma secondo Bonetti il problema della guida è secondario: “partiamo da chi è il leader o pensiamo a definire la strada verso la quale andare? Se la troviamo, ci saranno pionieri che guideranno il processo e sapranno convergere le energie in questo processo. È una sfida affascinante”. Secondo lei, infatti, “oggi il Paese chiede che ci siano donne e uomini che si assumano la responsabilità di riorientare il dibattito politico superando il rimbalzo costante tra destra e sinistra. Rischiamo di perdere un’occasione storica e fare un danno all’Italia”. Un piccolo-grande centro riformista che faccia da bussola e da ago della bilancia nel contempo? Forse. In apparenza, anche per come Bonetti ha raccontato nel suo piccolo il ruolo della sua formazione politica nel definire le discontinuità tra Conte II e Draghi I, questa sarebbe l’idea attorno alla quale una formazione riformista dovrebbe convergere — un’idea, urge dirlo, assai lontana da quella di Letta.
Alle domande sul Quirinale hanno quasi tutti glissato. Interessante Mario Monti su Berlusconi: “Senza Scelta Civica, nel 2013 sarebbe diventato Presidente della Repubblica perché il centrodestra avrebbe avuto la maggioranza assoluta in Parlamento”. La Ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna, invece: “Sono discorsi prematuri. È sbagliato usare il Quirinale per ottenere elezioni anticipate perché il Governo si sfiducia in Parlamento. E poi, questo affosserebbe il PNRR. Sono stati fatti significativi passi in avanti nel 2021, nel 2022 dovremo continuare”. Interessante anche la dichiarazione del segretario del PD Enrico Letta: “Sarebbe contraddittorio se la maggioranza per l’elezione del Quirinale fosse più ristretta di quella a sostegno di Draghi”. L’implicazione è che Salvini, Letta, Renzi, Berlusconi e Calenda, dopo Natale, dovranno sedersi ad un tavolo per parlarne. Scenario affascinante, ci lasceremmo volentieri stupire.
Il Ministro della Salute Roberto Speranza, collegato in remoto da Roma poche ore prima che l’Inghilterra convocasse il G7 dei Ministri della Salute, ha confermato quanto i numeri relativi alla situazione epidemiologica italiana siano incoraggianti negli ultimi giorni: venerdì scorso le terze dosi sono state quasi 300mila, un primato assoluto, e probabilmente aumenteranno già questa settimana. Un significativo stimolo alla vaccinazione prodotto dalle misure messe in atto dal Governo.

Intervistata da Claudio Cerasa, la Ministra della giustizia Marta Cartabia ha parlato a lungo della situazione delle carceri italiane, riconoscendone il grave sovraffollamento e affermando quanto, nel suo lavoro, sia fondamentale visitare le carceri per valutarne le condizioni. Cartabia ha anche affrontato il tema delle riforme: pochi giorni fa è passata quella della giustizia civile, dopo un dibattito pubblico fortemente polarizzante. “Abbiamo fatto un lavoro di convergenza verso obiettivi possibili”, ha affermato, spiegando di preferire riforme imperfette a riforme impossibili. Sulla magistratura, invece: “ci sono migliaia di persone che fanno bene il loro lavoro, non facciamoci abbagliare da alcuni casi clamorosi”.
Uno dei temi ricorrenti è stato il PNRR e la preoccupazione emersa di recente tra tanti amministratori del Paese di non riuscire ad accedere ai soldi europei. Dario Nardella, sindaco di Firenze: “La preoccupazione deriva dall’esperienza. È necessaria un’opera di drastica riforma e il decreto Semplificazioni, insieme all’applicazione senza esitazioni delle direttive comunitarie, sarà fondamentale”. Dei soldi europei ha parlato a lungo anche Carfagna: “L’Italia non è destinata al declino perché consapevole dell’opportunità e determinata a non sprecarla”. Che Von Der Leyen venga a saperlo? La Ministra ha parlato anche del come utilizzeremo le risorse: “dobbiamo ancora spendere metà dei fondi strutturali europei, che in totale sono 50 miliardi. Se il ritardo non fosse sanato, potrebbe essere un deficit enorme per l’attuazione del PNRR. È un dovere essere ottimisti, perché oltre che ai soldi, questa volta c’è una rete di protezione degli investimenti a salvaguardia dei fondi del PNRR: 400 dei 1000 profili specializzati assunti dal Ministro Brunetta andrano al Mezzogiorno. Inoltre, in caso di ritardi, è previsto che ci siano poteri sostitutivi affinché i finanziamenti europei vengano ottenuti in ogni caso”. Sincero ottimismo.
Tantissima Europa e molto atlantismo sul palco della Festa de Il Foglio: il membro del comitato esecutivo della BCE Fabio Panetta ha parlato di inflazione, spiegandone le differenze tra quella europea e americana: “l’obiettivo europeo è mantenerla sotto il 2%, mentre questa quota negli Stati Uniti è la normalità. Anche la reazione alla pandemia è stata differente: lì il prodotto interno lordo è calato ma il potere d’acquisto delle famiglie è aumentato grazie all’intervento del Governo. In Europa, invece, la media dei consumi si è significativamente ridotta”. Negli ultimi giorni si è parlato molto di Euro digitale, definito da Panetta come “fondamentale, al fine di assecondare la transizione dei consumi al digitale e assicurare la presenza di una moneta sovrana”.
Sovranismo nazionale e sovranismo europeo sono stati altri concetti ricorrenti. Letta: “Il Trattato del Quirinale è fondamentale al fine di preservare il sovranismo europeista dell’asse Italia, Francia e Germania. Lega e Cinque Stelle in pochi mesi hanno detto sì al Recovery e al Trattato, che va oltre il nazionalismo egoista e individualista”.
Che cosa rimane, in sostanza, della Festa dell’Ottimismo? La sensazione che, grazie al governo Draghi e al ritrovato atlantismo, la direzione intrapresa dal Paese sia quella giusta e che essa ci permetta di sollevarci dalla pesante coltre di populismo che dal 2017 al termine del Conte II ha rischiato di far affondare l’Italia.
Il futuro, quindi: il prossimo passo è l’elezione del Presidente della Repubblica. Poi tutti a guardare quel che accade in Francia. Le elezioni d’oltralpe saranno fondamentali per il destino del polo centrista, europeista e riformatore di cui l’Italia necessita. In questo momento il Paese è anestetizzato dalle conseguenze del dannoso bi-populismo ma le fiere paiono solamente sopite: Draghi saprà sconfiggerle definitivamente?
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