Un piano ambizioso. Un obiettivo chiaro: raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Sarà sufficiente?

La proposta di misure legislative e fiscali più importante della storia europea è stata annunciata mercoledì scorso ed è destinata ad avere un profondo impatto nel prossimo decennio su tutti gli aspetti della vita quotidiana dei cittadini, compreso quello economico.
Il nome è ‘Fit for 55′. Che non è una palestra per persone di mezza età, come ha precisato David Carretta sul Foglio, ma un elenco di tutto quello che si deve fare nell’Unione Europea per essere ottenere il taglio per il 55 per cento delle emissioni climalteranti entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050.
L’elemento più importante del piano è il definitivo rilancio dell’Emissions Trading System (ETS), il più grande e importante mercato di emissioni del mondo. Esiste dal 2014, ma fino ad oggi ha goduto di ben poca considerazione. L’obiettivo era la progressiva e costante riduzione dell’inquinamento per 11 mila tra centrali energetiche e industrie europee tramite la definizione di un massimo complessivo delle loro emissioni. L’Unione europea ha perciò creato un mercato per permettere a questi enti di scambiarsi le loro ‘quote’ di emissioni, permettendo quindi, ad esempio, ad un’industria più inquinante di comprarle da una più ambientalmente virtuosa ed essere così in regola. Le multe sono altissime, e alle aziende conviene rispettare le regole. Il nudge motiva le aziende ad investire per ridurre le emissioni, riscontrandone di conseguenza un beneficio economico oltre che ambientale. Più inquini, più spenderai per comprare quote. Meno inquini, più guadagnerai nel rivenderle. Un sistema analogo ai cosiddetti carbon credits che, negli Stati Uniti sono ad oggi la maggiore fonte di guadagno Tesla.
Le 11 mila industrie e centrali di produzione energetica coinvolte dal 2014 ad oggi nel programma ETS producono circa il 40% delle emissioni dell’Unione. Il nuovo piano di scambio coprirà tutte le emissioni europee, toccando quindi nuovi importanti settori: industria, energia, automobili, treni, aerei, navi, riscaldamento, agricoltura, immobili, rifiuti, importazioni dal resto del mondo.
Un altro elemento importante e innovativo di “Fit for 55” è il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), il sistema di dazi per le aziende internazionali che vorranno esportare i loro beni in Europa. Qualora queste operassero in settori particolarmente inquinanti come quello dell’acciaio, del cemento, dell’alluminio e dei fertilizzanti, dovranno pagare una tassa per le emissioni da loro prodotte. L’obiettivo è proteggere le aziende europee, che dovranno fare i conti con l’ETS, evitando inoltre dinamiche di concorrenza sleale causate dall’eventuale decentramento produttivo in paesi nei quali vigono requisiti ambientali meno stringenti.
Il programma contiene inoltre una tassa per i carburanti di aerei e navi, molto più inquinanti della comune benzina e diesel, e una serie di nuove regole e incentivi al fine di convertire definitivamente i trasporti all’elettrico. Dal 2035, inoltre, sarà vietata la vendita di automobili a combustione interna.
Sono previste anche decine di miliardi di euro di aiuti economici per i paesi membri più poveri, nei quali è più complesso fare affidamento alle rinnovabili e rischiano di restare indietro nel processo virtuoso.
Fit for 55 è stato criticato da chi lo ritiene un provvedimento ingiusto e incompleto, perché permetterebbe a carbone e petrolio di rimanere nel sistema energetico europeo per almeno i prossimi anni. Certo è che ogni riduzione delle emissioni è un passo in avanti per la Terra. Volersi privare di tutte le fonti energetiche da un momento all’altro, dicendo no a tutto fuorché eolico e solare, è fantascienza.
Alexander Langer, scomparso 26 anni fa, scriveva: “non esiste il colpo grosso, l’atto liberatorio tutto d’un pezzo che possa aprire la via verso la conversione ecologica, i passi dovranno essere molti, il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente”. Il vicepresidente della Commissione Europea Timmermans lo sa bene quando afferma che “ci vuole equilibrio”. Il rischio è lasciare indietro settori importanti per alcuni paesi, come quello automobilistico in Germania.
Le reazioni della stampa europea sono state abbastanza fredde. Emerge Bernd Kramer che nel Badische Zeitung, quotidiano di Friburgo, ha rassicurato i produttori di motori a combustione interna delle auto affermando che non ci sia ragione per entrare in panico. “L’industria sa da moltissimo tempo che il futuro per i veicoli a benzina e diesel era debole e loro sua fine sarebbe arrivata presto”, scrive Kramer, commentando che “gli obiettivi climatici europei non vogliono distruggere le case automobilistiche, ma fare in modo che rimangano produttive e intraprendenti”.
Una cosa è certa: dietro al sistema di mercato delle emissioni c’è un futuro aumento del costo dei carburanti e delle bollette del riscaldamento per le famiglie europee. Per questo, la Commissione ha proposto anche un ‘fondo sociale clima’ con il quale compensare l’aumento dei costi per le persone con redditi bassi. Secondo le bozze della proposta europea, almeno il 50 per cento del guadagno netto proveniente dagli ETS dovrebbe finire nel Fondo appositamente pensato per compensare i costi della transizione climatica per le persone economicamente in difficoltà. “Ci assicureremo che le famiglie a basso reddito ottengano sostegno per la mobilità, per guidare e per il riscaldamento”, ha infatti detto Von Der Leyen ai maggiori quotidiani europei.
Timmermans continua giustamente a ripetere che “il costo dell’azione può sembrare alto, ma è piccolissimo rispetto al costo dell’inazione” e “l’opposizione sarà fortissima, ma tutte le transizioni epocali ricevono una forte opposizione”.
Fit for 55 è senza alcun dubbio un enorme passo avanti per la conversione ecologica europea, un pacchetto di provvedimenti concreti e decisi. La Commissione europea ha elaborato una ottima proposta e la direzione pare essere quella giusta. Sarà sufficiente? Se lo chiedeva già Langer nel suo celebre intervento “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”, affermando che “si dovrà cercare altrove la chiave per una politica ecologica, ed inevitabilmente ci si dovrà sottoporre alla fatica dell’intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici ed ambientali”. Terra Libera, come Langer allora, accoglie la complessità delle cose, riconoscendone una risorsa anziché un ostacolo.
Langer proponeva, contrapponendolo a quello “citius, altius, fortius”, un modus operandi “lentius, profundius, suavius”. Trent’anni fa, in effetti, la situazione non era tanto grave quanto oggi. Allora stavamo per arrivare al punto di non ritorno, oggi ci siamo ampiamente. L’urgenza del cambiamento climatico è ormai chiaro a tutti.
Il messaggio del vipitenese è questo: “una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate — come è ovvio — in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli)”.
Sarà quello di un’Europa federata e più che mai unita il primo popolo ad elaborare questa responsabilità ecologica? Noi crediamo, e speriamo, di sì.
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