Dare il colpo di grazia a ristoranti, bar e locali sarebbe una catastrofe anche per il sistema previdenziale. Per evitare sia i contagi che le bancarotte dobbiamo seguire un’altra strada

Dall’inizio della crisi fino al 17 maggio, l’Italia ha effettuato 20.482.163 controlli legati al COVID-19. Ma non parliamo di controlli sanitari: parliamo di “controlli inerenti alle misure urgenti per il contenimento del virus”.
Dall’inizio della crisi sanitaria, sebbene nessuna norma di legge abbia mai permesso dichiarazioni sostitutive sulle intenzioni, ci è stato fatto credere che dovessimo uscire di casa con un’autocertificazione compilata che riportasse in calce la firma del pubblico ufficiale che aveva effettuato il controllo: moral suasion.
Dall’inizio della crisi sanitaria molte istituzioni, e con loro cittadini dai balconi e purtroppo anche alcuni pubblici ufficiali, si sono impegnati nella ricerca degli untori: i runners, i bambini, quelli che facevano la spesa troppo spesso, quelli che compravano solo alcolici, e tutti loro messi assieme sembravano la causa di un contagio che prima cresceva troppo e poi non rallentava abbastanza in fretta.
Dall’inizio della crisi nessun governatore, di nessuna regione, ha presentato il proprio piano sanitario con la stessa forza con cui ha cercato l’untore tra gli individui. Nessuno ha indicato la capacità di risposta del suo Sistema Sanitario, nessuno ha spiegato ai cittadini che per non morire né di fame né di Covid avremmo dovuto trovare un compromesso e prenderci dei rischi. Nessuno ha spiegato quali rischi dovessimo assumerci.
Prima della crisi la ristorazione, secondo Confcommercio, valeva circa 84 miliardi (dato del 2018).
Prima della crisi il turismo, secondo Banca D’Italia, valeva circa il 5,5% sul PIL considerando solo l’impatto diretto: 87 miliardi nel 2015.
Dopo la crisi non sappiamo quale sarà lo stato di questi due settori, come di nessun altro: sappiamo però per certo che la spesa pensionistica, per le sole prestazioni mutalizzate e non a carico della fiscalità generale, pesa per 210 miliardi, continuerà a pesare almeno in egual misura in futuro, e difficilmente le prestazioni erogate dall’INPS che richiedono altri 110 miliardi dalla fiscalità generale (soldi di tutti, n.d.r.) si ridurranno: anzi.
“Tutto per la salute”, come “tutto per l’ambiente”, non può essere accettabile. Può essere un’idea legittima di qualcuno, ma non può essere la politica di una Regione e ancora meno di una nazione. Eppure abbiamo esasperato questo concetto: “La salute prima di tutto” diceva il Presidente del Consiglio.
Allora, forse, è giunto il momento di una riflessione seria sul futuro, perché le prime avvisaglie da tutti i settori a diretto contatto con il pubblico stanno arrivando e sono tragiche: i volumi degli affari sono fortemente ridotti, oltre che per una questione legata alla fiducia dei consumatori, perché il rispetto di tutte le norme riduce la possibilità di erogazione del servizio in termini di spazio e di tempo.
Pur di non fare questa riflessione abbiamo individuato il nuovo nemico: “la Movida”, le piazze, i bar e i ristoranti pieni anche se, ironicamente, sappiamo che quando i ristoranti sono pieni non c’è alcuna crisi.
Per quanto si parli di emergenze puntuali, spesso legate a singole realtà, mentre c’è un intero mondo – legato a realtà di piccole e medie dimensioni – nemmeno lontanamente considerato, sappiamo già che quando ci sarà un’impennata di contagi la colpa sarà data ai singoli individui che non ascoltano istituzioni prive di chiarezza.
E di nuovo sentiamo la forza con cui si scagliano contro queste situazioni, ma sentiamo il silenzio su un qualsiasi piano sanitario che non preveda chiusure in caso di aumento dei contagi.
La realtà è che abbiamo bisogno fino all’ultimo centesimo di quegli 84 miliardi, e anche di quelli del turismo, e anche di ogni euro dei parrucchieri, degli estetisti e delle palestre. Abbiamo bisogno di quei soldi perché sono anche quei soldi che sorreggono un sistema pensionistico elefantiaco, e per prenderci fino all’ultimo centesimo di quei soldi dobbiamo prenderci più rischi e comprimere al minimo le restrizioni che ora stiamo imponendo a tutte le attività aperte al pubblico.
Per farlo abbiamo una sola strada: proteggere le persone a rischio, quindi principalmente gli anziani, perché sono quei soggetti che più di tutti mettono sotto stress il nostro Sistema Sanitario Nazionale.
Se vogliamo che interi settori dell’economia ne escano dilaniati, e non semplicemente distrutti, per i soggetti a rischio dobbiamo adottare misure contenitive più stringenti e consentire all’economia di riprendersi con meno restrizioni.
Per questo la polemica sulla Movida è sterile: qualche comportamento è sicuramente irresponsabile, come molti altri e in ogni ambito, ma quei locali – e non solo quelli – hanno bisogno di volumi di affari elevati per non morire.
Voi continuate pure a parlare della Movida irresponsabile, mentre di irresponsabile c’è solo un Paese che non vuole coniugare esigenze economiche con esigenze sociali e sanitarie.
Anche perché, con 20.482.163 controlli e 2.164.426 casi testati, non è chiaro se stiamo combattendo il Covid-19 o i cittadini.
Per questo il cocktail, oggi, è un atto di resistenza a questa incapacità di prendere una strada che possa salvare l’economia, e dovremmo tutti gridare che “i nostri cocktail pagano le vostre pensioni”.
È la strada del compromesso che ci consentirà di salvare sia l’ambiente che l’economia mondiale, ed è solo seguendo una strada simile, di maggiore rischio per alcuni e di maggiore protezione dei più deboli, che potremo “morire, sì, ma né di sete né di covid”.

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