
La prigionia di Patrick Zaki ha riacceso per poco la luce sul “Calvario dei cristiani copti”, per usare le sue stesse parole.
Ma l’Egitto non è un caso isolato: in gran parte dell’Asia e dell’Africa quella cristiana è una fede off-limits.
Ci sono paesi dove convertirsi è un reato, come il Pakistan.
Altri dove è formalmente legale, ma lo stato impone restrizioni e discriminazioni, come in Cina.
In altri ancora sono le comunità locali a punire i “traditori” e i “blasfemi”, con la benevola neutralità dei poteri pubblici (è il caso dell’India).
Altrove, come in Nigeria, le autorità non sarebbero in grado di intervenire neanche volendo.
Nonostante la libertà di culto sia la prima che l’Europa ha conquistato e la premessa di tutte le altre, come testimonia la nostra storia, oggi, nella politica internazionale dell’Unione, è all’ultimo posto se non del tutto assente.
Il risultato, come al solito, è che la sua difesa rimane appaltata alle associazioni confessionali e ai partiti reazionari di destra. Una fine alquanto triste per la battaglia che è stata l’anima dell’Illuminismo.
“Buon Natale” andrebbe detto a testa alta e a polmoni pieni in faccia a tutti quegli stati che non garantiscono la libertà di culto, consapevoli di quanto sia scomoda.
Andrebbe detto e ridetto e ripetuto, fino al giorno in cui finalmente nessuno rischierà più intimidazioni, aggressioni, incendi, censura, carcere o morte per la propria fede.
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