La “guerra santa” contro l’alcol del sindaco di Pescara

01 Giugno 2020

Nella città universitaria abruzzese i locali saranno presi nella morsa tra divieto di consumo all’aperto e ingressi ridotti anti-Covid. Al loro posto cosa fareste?

Cosa succederebbe se il Sindaco della vostra città decidesse di dare il colpo di grazia a bar e locali, firmando un’ordinanza restrittiva che vieta la vendita di alcuni prodotti in una determinata fascia oraria?

Dopo un pesante e interminabile periodo di lockdown, tutto a danno delle piccole imprese, non vi aspettereste una rivolta epica nei confronti di quel Sindaco? Ebbene, a malincuore, la risposta è no. O almeno, non a Pescara.

Infatti, fino al 14 giugno, i bar e i locali pescaresi non potranno vendere alcolici dalle ore 20:00 fino alle ore 7:00, se non a clienti che consumeranno in loco. Ma “in loco” potrà entrare solo un numero ristretto di clienti, a causa del distanziamento anti-contagio.
Potete facilmente immaginare l’effetto sugli incassi.

È questo il tentativo disperato del Sindaco Carlo Masci, stanco dei continui assembramenti che si creano nelle principali vie della città.
Tuttavia, per quanto le motivazioni del Sindaco Masci siano più che nobili, la sua ordinanza si tramuta nella peggior follia proibizionista a danno dei piccoli commercianti, ormai rassegnati a una politica che li ignora su tutti i fronti.

Ma, al di là dei danni economici incalcolabili che si ripercuotono su chiunque lavori nel settore (dipendente o imprenditore che sia), vorrei invece soffermarmi sulla “filosofia” che sta dietro a questo provvedimento.

Carlo Masci ha recentemente dichiarato: “Confido ancora una volta nel senso di responsabilità di tutti”. Ebbene, caro Sindaco, questa è una completa falsità.

Se davvero confidassi nella responsabilità individuale, non avresti mai firmato un provvedimento che proibisce e sanziona un determinato comportamento, per altro già sanzionato da un’altra legge. Sappiamo tutti infatti che gli assembramenti sono vietati in tutto il territorio nazionale; non serviva trattare i cittadini come bambini o come idioti, se davvero confidi nella “responsabilità di tutti”.

E invece no, la classe politica italiana continua a mantenere, da oltre 70 anni, una concezione paternalista dell’autorità politica, tanto da dover legiferare su tutto ciò che ritiene fonte di pericolo per quello che viene considerato “lo stupido cittadino irresponsabile”.

E così, la droga è vietata (alcol e sigarette no e non si capisce ancora perché), l’eutanasia è vietata (perché poter scegliere liberamente il proprio fine vita rappresenta un pericolosissimo problema per la collettività, eh), la prostituzione, anch’essa, è vietata (perché ormai lo Stato ci ha preso gusto e vuole ficcare il naso anche sulle tue intime relazioni) e così via.
Siamo un paese democratico in cui vige una Costituzione che riconosce (e non che concede!) le libertà di tutti, eppure è chi governa a doverci dire se possiamo vendere o acquistare alcolici in una determinata fascia oraria.

Certo, una pandemia è imprevedibile (o quasi), ma a maggior ragione dovevano essere investite ingenti risorse in quei settori “strategici” quali scuola, università, ricerca, invece che sulla lotta alla droga o su inutili paternalismi.

Il fine delle istituzioni, cari politici di ogni estrazione, è quello di rendere il cittadino consapevole, critico, responsabile e davvero libero. Questo miglioramento culturale passa, per forza di cose, per le mani del nostro sistema educativo. Ma la politica del consenso e dei sondaggi non può ragionare oltre le prossime elezioni, giammai: non a caso alla mancanza di lavoro risponde con il Reddito di Cittadinanza, al complesso problema ambientale con qualche legge antieconomica, alla mancanza di educazione con la proibizione.
La politica del consenso propone soluzioni semplici (nella migliore delle ipotesi) o dei veri e propri tappabuchi (nella peggiore), rispetto a problemi che definire “complessi” sarebbe ottimistico.

Ciò che scrivo non deve essere letto tanto come un attacco politico all’amministrazione Masci, quanto come una presa di coscienza individuale da parte di ognuno di noi.
Il Covid-19 ci ha messo a nudo di fronte ai nostri problemi ed alle nostre fragilità e, quando i problemi sono così importanti, tutti i nodi vengono rapidamente al pettine.
La classe dirigente non vuole affidarsi alla nostra responsabilità, più o meno forte a seconda degli individui, proprio perché abbiamo, da tempo immemore, barattato la nostra libertà con una velata parvenza di sicurezza. Siamo noi che votiamo chi ci governa: la politica è lo specchio del popolo.

In conclusione, vedrete comunque che i locali continueranno a vendere alcolici come se nulla fosse e le persone ad acquistarli. Tutto verrà svolto “sottobanco”, come ci insegna da sempre la storia del proibizionismo – sugli alcolici in tempi più remoti, sulle droghe in tempi più recenti.
Dopo aver venduto una soluzione pessima e rapida come la migliore soluzione possibile, allo Stato conviene far finta di non vedere ciò che ha combinato realmente, girandosi dall’altra parte. Dopotutto, ricordiamoci sempre che “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.

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